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Impollinatori e Cambiamenti Climatici: Sfide e Strategie Adattive

Analisi delle interazioni tra impollinatori e cambiamenti climatici, evidenziando come queste specie si stiano adattando e quali strategie possano essere implementate per mitigare gli impatti negativi.

In un mondo in rapida trasformazione, il delicato equilibrio degli ecosistemi naturali è sotto costante minaccia. Tra questi, gli impollinatori, fondamentali per la biodiversità e per l’agricoltura, affrontano sfide senza precedenti a causa dei cambiamenti climatici. Questo articolo esplora le interazioni complesse tra impollinatori e cambiamenti climatici, mettendo in luce le strategie adattive di queste specie e proponendo azioni per mitigare gli impatti negativi.

I cambiamenti climatici, manifestandosi attraverso il riscaldamento globale, l’alterazione dei cicli stagionali e la crescente frequenza di eventi climatici estremi, influenzano profondamente la vita degli impollinatori. Specie come le api, farfalle, colibrì, e molti altri insetti e uccelli, trovano sempre più difficile sopravvivere, riprodursi e nutrirsi in un ambiente che cambia così rapidamente.

Uno studio pubblicato su “Science” (Kearns, Inouye, e Waser, 1998) evidenzia come il cambiamento delle stagioni floreali e delle temperature influenzi negativamente la sincronizzazione tra la fioritura delle piante e l’attività degli impollinatori. Questo disaccoppiamento temporale può portare a una riduzione della successione riproduttiva delle piante e a una diminuzione della biodiversità.

Nonostante le avversità, alcuni impollinatori hanno dimostrato una notevole capacità di adattamento. Ad esempio, studi recenti (Potts et al., 2010, “Trends in Ecology & Evolution”) mostrano come alcune specie di api selvatiche abbiano iniziato a modificare i loro pattern di attività, anticipando o ritardando la loro emergenza in risposta alle variazioni climatiche.

Inoltre, la ricerca di Rafferty et al. (2013, “Proceedings of the National Academy of Sciences”) suggerisce che alcune specie di impollinatori stiano espandendo il loro areale geografico verso latitudini più elevate o elevazioni maggiori, in cerca di condizioni più favorevoli per la loro sopravvivenza.

Per contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sugli impollinatori, è fondamentale implementare strategie di conservazione mirate. Queste includono la creazione e il mantenimento di corridoi ecologici che facilitino la migrazione delle specie verso aree più adatte, così come la conservazione delle aree naturali che forniscono habitat essenziali per la nidificazione e l’alimentazione.

La promozione di pratiche agricole sostenibili, come l’agricoltura biologica e l’uso ridotto di pesticidi, è un’altra strategia cruciale per proteggere gli impollinatori. L’incremento della diversità floreale nelle aree agricole, ad esempio, può offrire una maggiore varietà di risorse alimentari per gli impollinatori (Klein et al., 2007, “Journal of Applied Ecology”).

Il coinvolgimento della comunità è vitale per il successo delle iniziative di conservazione degli impollinatori. Attraverso la sensibilizzazione e l’educazione, possiamo aumentare la consapevolezza sull’importanza degli impollinatori e sulle minacce che affrontano a causa dei cambiamenti climatici.

Il progetto Saving Bees è in prima linea nella lotta per la conservazione degli impollinatori, promuovendo la ricerca, l’educazione e le pratiche sostenibili. Ti invitiamo a unirti a noi in questa causa cruciale. Visita il nostro sito, approfondisci le nostre attività e scopri come puoi contribuire a fare la differenza. Insieme, possiamo lavorare per salvaguardare gli impollinatori e proteggere la biodiversità del nostro pianeta.

Riferimenti:
1. Kearns, C. A., Inouye, D. W., & Waser, N. M. (1998). Endangered mutualisms: The conservation of plant-pollinator interactions. *Science*, 281(5377), 431-434.
2. Potts, S. G., et al. (2010). Global pollinator declines: Trends, impacts and drivers. *Trends in Ecology & Evolution*, 25(6), 345-353.
3. Rafferty, N. E., et al. (2013). Floral traits influencing plant-pollinator interactions: Implications for plant’s responses to climate change. *Proceedings of the National Academy of Sciences*, 110(21), 8944-8949.
4. Klein, A.-M., et al. (2007). Importance of pollinators in changing landscapes for world crops. *Journal of Applied Ecology*, 45(1), 205-213.

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Alloctono non è sempre nocivo

Mi piace pensare che dall’ultimo post-glaciale, ovvero dalla fine dell’ultima glaciazione Wurmiana circa 12.000 anni fa, quando i vegetali erano praticamente assenti tranne alcuni insediati sui rilievi tra le maglie della rete di ghiacci, quello che poi è diventato il nostro territorio è stato interessato da successive ondate di colonizzazione da parte di organismi vegetali che, a colpi di competizione, si sono impadroniti delle aree che oggi noi rivendichiamo come “il loro habitat”.

D’altro canto, numerose sono oggi le specie vegetali alloctone che si affacciano alla scena ecosistemica. Molte di queste vengono classificate come invasive/nocive e per questo sono oggetto di sovvenzioni economiche anche europee per progetti di eradicazione, riduzione ed eliminazione.

Negli ultimi tempi mi sono soffermato a considerare un paio di specie erbacee arrivate in Val Concei che sono inserite nella lista nera degli organismi nocivi: Impatiens glandulifera Solidago canadensis.

Si tratta di due piante che hanno riempito l’alveo della maggior parte dei torrenti spesso asciutti del fondovalle praticamente ovunque. Le due specie provengono dagli estremi del globo terrestre. Impatiens dall’Himalaya e Solidago dal Canada.

Naturalmente essendo i vegetali degli – animali che hanno perso l’irascibilità – è chiaro che a fare arrivare fino in questo angolo di mondo queste popolazioni vegetali sono state le attività iper-consumistiche dell’unica specie animale che appartiene al genere Homo. Noi.

La globalizzazione ha permesso ad Impatiens di stabilirsi dalla catena montuosa Himalayana a quella Alpina. Simile situazione per Solidago che dal Canada, con i suoi gialli pennacchi colora laddove Impatiens con il suo colore violaceo acceso lo consente.

Queste due piante mostrano una cospicua fioritura che perdura per tutto l’autunno fino alle porte dell’inverno, fornendo importanti quantità di scorte per gli insetti impollinatori che in questo periodo hanno vitale necessità di riempire le stive di risorse alimentari per attraversare la lunga e rigida stagione avversa. Una manna!

Per un apicoltore di montagna è molto confortante e quasi commovente vedere le api che rientrano all’arnia tutte imbiancate con carichi di polline e nettare in questa delicata e critica fase della stagione.

Mi piace quindi pensare che, al netto delle condivisibili ragioni che hanno fatto inserire queste due specie nella lista delle piante nocive rendendole dei ricercati da eliminare, si può anche provare a cogliere la parte positiva che queste piante portano con se.

Volgendo lo sguardo nel tempo profondo, analizzando anche solo quello che i geologi chiamano “passato recente”, è chiaro che queste dinamiche di colonizzazione sono solamente accelerate dalle attività umane ma di base sono fenomeni naturali che si protraggono da decine di migliaia di anni ovvero dall’inizio dell’attuale interglaciale.

Inoltre, quasi sempre i tentativi di eradicazione che si stanno mettendo in campo costano un sacco di fondi pubblici e sono efficaci come il bimbo che mette il dito nella crepa della diga per fermarne la perdita…

Per fortuna negli ultimi anni la visione del problema sta passando da una prospettiva fiotoxenofoba ad un approccio più ragionevole che vede gli sforzi concentrarsi puntualmente nelle zone più fragili come quelle isole ecologiche dove sono presenti specie endemiche in un delicato equilibrio di ecosistemi.

Non solo le api ma tutti gli impollinatori ringraziano e, dopo gli insetti, gli insettivori come uccelli, piccoli mammiferi e rettili… e via-via le altre maglie della rete alimentare…. Se questa non è biodiversità…!!

Di Michele Segalla

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I danni causati dall’aratura a suolo, biodiversità e insetti impollinatori

L’aratura è una pratica agricola tanto diffusa quanto dannosa. In questo articolo vogliamo spiegarti quali sono gli effetti negativi che questa tecnica causa alla salute del suolo e ai delicati equilibri naturali, e le possibili soluzioni per limitarne l’impatto ambientale.

Che cos’è l’aratura e perché si pratica

L’aratura è un metodo di lavorazione del terreno che consiste nel rivoltare e rompere il suolo con un aratro, con una zappatrice, o anche con una semplice vanga. Questa metodologia di coltivazione è stata adottata dagli occidentali per secoli, e ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo dell’agricoltura moderna.

L’aratura viene impiegata in agricoltura per diversi scopi, tra cui:

  • preparare il terreno per la semina, creando un letto per la germinazione delle piante;
  • rimuovere le erbacce e i residui delle colture precedenti;
  • incorporare concimi o altre materie organiche nel suolo per aumentarne la fertilità.

Ma è davvero un metodo di coltivazione così efficace?

Perché l’aratura fa male alla terra

Come afferma Masanobu Fukuoka – agricoltore, scrittore e filosofo giapponese noto per aver sviluppato il metodo dell’agricoltura naturale: “Ogni volta che l’umanità interferisce con la Natura (come quando si ara) le cose cominciano ad andare male*”.

Infatti, nonostante sia credenza diffusa che gli effetti dell’aratura sul raccolto siano benefici, questa pratica ha conseguenze negative sulla qualità del suolo, sulle colture e – ovviamente – anche sui prodotti che ne derivano.

L’aratura, infatti, rimuove lo strato superiore del terreno, lasciandolo così esposto agli agenti atmosferici. Questo può portare ad una progressiva erosione del suolo e alla perdita dei nutrienti che vi sono naturalmente presenti, con una conseguente diminuzione della fertilità.

Oltre all’erosione, l’aratura può anche causare la compattazione del suolo, riducendone la porosità. Un terreno compatto limita la giusta penetrazione delle radici delle piante nel terreno e quindi diventa poco adatto ai fini della loro crescita rigogliosa, causando una diminuzione della produttività delle colture.

Non stupisce, inoltre, che le piante nate in un terreno povero, eroso e compatto siano deboli e quindi anche più vulnerabili alle malattie, all’attacco di microorganismi o insetti dannosi, nonché a condizioni ambientali sfavorevoli.

Per ovviare a queste conseguenze, gli agricoltori solitamente rimediano utilizzando costosi e dannosi concimi chimici, pesticidi e diserbanti che impoveriscono ulteriormente il suolo, contribuendo all’inquinamento e alla scomparsa della biodiversità e degli impollinatori.

I danni dell’aratura alla biodiversità e agli insetti impollinatori

Non bastassero le conseguenze sul suolo, l’aratura distrugge anche l’habitat naturale di molte piante e animali, riducendo la varietà di specie che abitano un determinato ambiente, chiamata biodiversità.

Le piante erbacee e i fiori selvatici, infatti, in Natura forniscono cibo e rifugio a tanti animali e la loro scomparsa, o quantomeno drastica riduzione, ha già contribuito ad una significativa perdita della popolazione di molte di queste preziose creature che non riescono più a nutrirsi e riprodursi. Tra questi, anche i preziosi insetti impollinatori – come api, osmie (api solitarie), farfalle e coleotteri – essenziali per la produzione di molte colture.

In aggiunta, in quello che è definitivamente un circolo vizioso, l’aratura incoraggia l’abuso di prodotti chimici causando avvelenamento e morte degli impollinatori esposti a queste sostanze attraverso il contatto diretto o anche indiretto, come ad esempio la contaminazione dell’acqua.

La soluzione? Pratiche agricole più sostenibili e Oasi per la biodiversità

Come abbiamo visto, l’aratura ha diversi effetti impattanti sugli equilibri naturali. Tuttavia, con l’adozione di pratiche agricole più sostenibili è possibile limitarne i danni e preservare l’ecosistema. Come?

Ad esempio, implementando l’agricoltura di conservazione che utilizza la semina diretta o trasemina, la rotazione delle colture e la copertura del suolo (pacciamatura) con residui vegetali o altre colture. Questi metodi di coltivazione aiutano a conservare la struttura del suolo, ridurne l’erosione e tutelare la biodiversità.

Anche l’utilizzo del controllo biologico e integrato dei parassiti per diminuire la dipendenza dai prodotti chimici è una buona pratica, e per quanto riguarda le arature, è possibile ridurne la frequenza e l’intensità.

Ultima, ma non meno importante, è l’urgenza di creare corridoi ecologici e zone di rifugio per mantenere o piantare fasce di vegetazione spontanea, prati fioriti e siepi. Noi chiamiamo questi habitat OASI per la biodiversità. Da diversi anni, infatti, con il progetto SavingBees ci impegniamo ad offrire cibo e riparo agli impollinatori e ad altri utili organismi, facilitando la loro sopravvivenza e il loro importante contributo alla biodiversità e all’agricoltura.

Vasti spazi naturali dove ripristiniamo gli ambienti ideali per questi meravigliosi animali, grazie alla semina di una grande varietà di fiori che producono abbondante nettare e polline. In questi ampi prati selvatici, dove il terreno non viene più arato, gli impollinatori hanno accesso a nutrimento in abbondanza e possono vivere e prosperare in tutta sicurezza.

Articolo di Petra Invernizzi, Bee-Copy @Pinvi – Racconti di api

 (*tratto da “La rivoluzione del filo di paglia” di Masanobu Fukuoka, Libreria Editrice Fiorentina)

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Perché le monocolture non fanno bene all’ambiente

Le monoculture sono un problema per la biodiversità perché riducono la varietà di piante presenti in una determinata area. Questo si traduce in mancanza di cibo e rifugi per tanti animali, inclusi gli importantissimi insetti impollinatori. Non bastasse, questa pratica di coltivazione rende le colture più vulnerabili alle malattie e ai parassiti, aumentando la necessità di ricorrere all’uso di prodotti chimici dannosi per noi e per l’ambiente.

Che cosa significa monocoltura

La monocultura è quella pratica agricola – largamente diffusa anche nel nostro Paese – che consiste nel coltivare una sola specie di pianta su una vasta area di terreno per aumentare la produzione di prodotti come grano, pomodori, mais – o anche frutta come, ad esempio, le mele – usando tecniche di coltivazione intensive.

Questo modo di coltivare, che in effetti consente di massimizzare la produzione e il profitto, ha però un impatto negativo sull’ambiente e sulla biodiversità. Le monoculture, infatti, interrompono gli ecosistemi naturali, limitando la varietà di specie vegetali e animali presenti nell’area. Inoltre, possono anche aumentare la vulnerabilità delle colture a malattie e parassiti, dato che una grande popolazione di una singola specie ospitante rende più facile per questi ultimi la possibilità di diffondersi rapidamente.

Per questo motivo, la coltivazione di monoculture richiede un uso massiccio di prodotti chimici come fertilizzanti, pesticidi e erbicidi che vanno a contaminare le falde acquifere e il suolo, danneggiando la salute degli animali (e anche delle persone) che vivono nelle vicinanze.

Le conseguenze della coltivazione a monocoltura sugli insetti impollinatori

Come abbiamo anticipato, le monoculture possono avere un impatto negativo sugli impollinatori – tra cui api, osmie, farfalle e coccinelle – che dipendono da una varietà di piante per trovare il cibo e il riparo necessari alla loro sopravvivenza

Anche l’uso eccessivo di pesticidi e altri prodotti chimici può uccidere questi insetti o, quantomeno, comprometterne gravemente la salute. Una pratica che ha già causato una grave riduzione delle popolazioni di questi preziosi animali.

Eppure, come ben sappiamo, gli impollinatori sono di vitale importanza non solo per la biodiversità, ma anche per tutti noi, dato che la loro scomparsa avrebbe gravi conseguenze anche sulla disponibilità del cibo che mangiamo. Infatti, la maggior delle colture, per produrre i frutti e i semi dipende da queste importanti creature.

Cosa fare per aiutare gli impollinatori nelle zone dove c’è monocoltura

Per mitigare gli effetti negativi della pratica della monocoltura, gli agricoltori possono adottare tecniche agricole sostenibili come la rotazione delle colture, la creazione di habitat ad hoc per gli insetti impollinatori, la riduzione dell’uso di prodotti chimici dannosi per l’ambiente e la promozione di colture miste al posto delle monoculture.

Facendo questo, potrebbero contribuire a creare e mantenere un ambiente più sano per tutti e preservare la biodiversità degli ecosistemi agricoli.

Anche seminare fiori che sbocciano in diversi momenti dell’anno all’interno di rotazioni e lungo le strade può fornire una utile fonte di nutrimento per gli impollinatori.

Insomma, ogni sforzo – anche quello più piccolo – per creare un ambiente più favorevole può avere un grande impatto sulla loro sopravvivenza e, di conseguenza, sull’ambiente e sul nostro futuro.

Le oasi di biodiversità di SavingBees

È proprio per salvaguardare gli impollinatori e la biodiversità che noi di SavingBees abbiamo deciso, qualche anno fa, di creare tante oasi di biodiversità, favorendo in questo modo il loro reinsediamento naturale.

Si tratta di grandi aree selvatiche dove ripristiniamo gli habitat naturali di questi animali seminando tanti fiori diversi che producono abbondanza di nettare e polline. In questi grandi prati fioriti e selvatici, dove il terreno non verrà più arato per proteggere gli insetti che fanno i nidi sottoterra, gli impollinatori possono nutrirsi in abbondanza e nidificare in sicurezza.

di Petra Invernizzi, Bee-Copy @Pinvi – Racconti di api

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Ecco le oasi che salveranno gli impollinatori

È uscita su SorgeniaUP la nostra ultima intervista, in cui abbiamo raccontato i passaggi fondamentali dell’avventura di Saving Bees e le nostre ambizioni future!

“Ho voluto fare qualcosa che faccia bene al pianeta e rimanga nel tempo. Tutto quello che incassiamo viene reinvestito per lo sviluppo del progetto” – ha raccontato Matteo De Simone, fondatore di Saving Bees.

Leggi l’intervista completa di SorgeniaUP a questo link

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I benefici del sovescio per gli insetti impollinatori

Di quanto siano importanti gli impollinatori per l’agricoltura te ne avevamo già parlato in un articolo precedente. In Europa, l’80% delle specie coltivate dipende dall’attività di questi preziosi animali. Purtroppo però, il numero di impollinatori sta calando drasticamente a causa dei pesticidi usati in agricoltura, dei cambiamenti climatici e, soprattutto, della mancanza di cibo dovuta alla perdita di habitat naturali.

Gli impollinatori aumentano il valore mondiale delle produzioni agricole di circa 260 miliardi di euro all’anno eppure, nonostante questo, la maggior parte delle pratiche agricole continua a contribuire alla loro estinzione, ignorando – o forse sottostimando – le gravi conseguenze che potrebbe comportare.

Esiste invece un modo in cui anche gli agricoltori potrebbero fare la loro parte per evitare la scomparsa definitiva delle api e di altri utilissimi insetti. Come? Oltre a coltivare in modo biologico possono praticare il sovescio, una tecnica che aiuta gli impollinatori a non morire di fame e, contemporaneamente, rende fertile il terreno. Insomma, un win-win per entrambi!

Che cos’è il sovescio

Il sovescio è una pratica utilizzata in agricoltura che consiste nel piantare determinate colture per aumentare o mantenere la fertilità e la buona struttura del terreno. Queste colture, infatti, consentono di reintegrare importanti sostanze organiche nel suolo e contribuiscono a mantenerlo aerato e drenato.

Le principali piante usate per fare il sovescio sono le leguminose, le graminacee e le crucifere (o brassicacee):

  • le leguminose perché forniscono un importante apporto di azoto organico al terreno
  • le specie con un apparato radicale molto sviluppato perché consentono di strutturare il terreno anche negli strati più profondi eliminando la suola di lavorazione
  • le piante che sviluppano molta massa vegetale perché forniscono al terreno carbonio organico e permettono di controllare le infestanti

Il sovescio non è una semina destinata alla raccolta. Le colture, infatti, vengono falciate e lasciate a decomporre lentamente sul terreno come compostaggio di superficie. In alternativa, possono essere interrate nei primi cinque centimetri del suolo, dove sono presenti le condizioni ottimali per una corretta decomposizione.

Quali sono i vantaggi del sovescio

Il sovescio offre notevoli vantaggi e per questo motivo andrebbe sempre previsto e inserito all’interno di rotazioni e avvicendamenti seminativi e orticoli. Un modo semplice ed economico per ridare al nostro terreno le sostanze consumate durante la coltivazione, ma anche per contenere le erbe spontanee (non chiamiamole erbacce, per favore! ogni cosa esiste per un motivo in Natura) grazie alla pacciamatura che tiene il terreno ben coperto.

In particolare, il sovescio consente un:

  • un aumento delle sostanze organiche,
  • un miglioramento della struttura del suolo,
  • un controllo delle erbe spontanee e dei parassiti,
  • un aumento della biodiversità nel suolo
  • una protezione del suolo dall’erosione grazie alla costante copertura.

Va ricordato che la tecnica del sovescio apporta numerosi benefici a qualsiasi tipo di terreno, dal campo coltivato a livello industriale al semplice orticello di casa. Anche nell’orto, infatti, il sovescio è molto utile per la fertilità del terreno, specie quando vengono coltivati ortaggi che consumano molte risorse come pomodori, melanzane, peperoni, cavoli, meloni, etc.

Quale sovescio piantare per aiutare gli insetti impollinatori

Facendo sovescio con specie di piante mellifere e polliniche, oltre ai benefici già elencati per il tuo terreno, potrai anche creare anche un luogo per il pascolo delle api e degli altri insetti impollinatori. Peraltro, seminare colture mellifere consente agli agricoltori anche di rispettare gli obblighi previsti dal regolamento Pac relativi alle superfici Efa (aree di interesse ecologico).

Tra le diverse specie di piante mellifere e polliniche che puoi seminare troviamo: Facelia, Trifoglio, Grano saraceno, Lino, Girasole, Serradella, Coriandolo, Cumino dei prati, Calendula Senape, Finocchio, Fiordaliso, Malva, Aneto, Agrostemma. A volte i semi di queste piante sono difficili da reperire sul mercato ma per fortuna in commercio esistono mix di semi melliferi già pronti (altri Esempi in Semfor e Biasion). In generale, l’epoca di semina va dalla fine dell’inverno all’inizio dell’estate.

Per aiutare gli impollinatori ti consigliamo di fare sovesci con il più grande numero di specie di queste piante, per assicurare a queste meravigliose creature un periodo di fioritura – e quindi di disponibilità di cibo – prolungato al massimo. Ovviamente dovrai avere l’accortezza di non tagliare il sovescio a inizio fioritura, per consentire la raccolta di nettare o polline (solitamente infatti la trinciatura per l’interramento avviene con un 10-20% di fioritura della miscela).

Sovescio, biodiversità e bellezza

La pluralità e la diversità delle specie mellifere e polliniche utilizzate per effettuare il sovescio possono anche contribuire al reinserimento di biodiversità sul territorio, e un’agricoltura che rispetta l’ambiente e la Natura dovrebbe sempre salvaguardare la diversità biologica.

Incrementando la biodiversità, inoltre, potrai anche contare sulla presenza di insetti e organismi utili alle colture, che ti permetteranno di ridurre eventuali interventi antiparassitari.  

  • Non bastasse, seminando queste piante utili per gli impollinatori, oltre al ripristino della vita e della biodiversità produrrai anche tanta  bellezza, per via della meravigliosa fioritura che caratterizza queste specie. E questo lo sappiamo bene noi di Saving Bees, che da anni ci impegniamo a creare in Italia – e chissà, magari presto anche all’estero – le nostre bellissime oasi apistiche dove coltiviammo tanta biodiversità circondati da colori sgargianti, profumi inebrianti e tanta, tanta bellezza.

di Petra Invernizzi, Bee-Copy @Pinvi – Racconti di api

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Il miele ‘bello’ non è naturale

In occasione della Giornata Mondiale delle Api (il World Bee Day), che si celebra ogni anno il 20 maggio, abbiamo raccontato a Today.it il progetto della nostra oasi apistica.

“Le nostre campagne ormai sono dei deserti verdi – ha raccontato Matteo De Simone, fondatore di Saving Bees – dove non c’è più un fiore, le piante da fiore non riescono più ad andare a seme e riprodursi, i fossi lungo i campi vengono diserbati. Non c’è più un fiore in giro! E gli impollinatori sono in difficoltà per mancanza di fonti alimentari a una distanza di volo utile. Con la nostra oasi, un luogo protetto e con importanti fioriture, abbiamo creato un’area dove gli impollinatori possono nutrirsi, diffondersi e riprodursi.”

Tra i focus dell’intervista anche il miele, uno dei due pilastri di sostentamento del nostro progetto: “Per noi il miele è una cosa diversa da quello che può essere per un apicoltore, non è un prodotto ma un risultato. Mentre un apicoltore lo toglie alle api man mano che esse lo producono, noi glielo lasciamo per tutta la stagione. Quando a fine agosto, al termine della stagione, le api si preparano all’inverno e portano tutto il miele che possono nel nido, noi prendiamo quello che loro abbandonano perché in eccesso. Si tratta di circa il 30-35% del miele che hanno prodotto.”

Leggi l’intervista completa su Today.it a questo link

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In Val Concei, la seconda Oasi di Savingbees

Sono passati ormai quattro anni da quando è nata la prima Oasi Apistica di Savingbees e noi, come promesso, non ci siamo fermati qui. L’obiettivo di Savingbees, infatti, è creare tante Oasi apistiche in tutta Italia e chissà, magari in futuro anche all’estero. Per questo motivo, in collaborazione con Michele Segalla, amico di lunga data e naturalista che vive in Val Concei, abbiamo avviato una nuova Oasi proprio in questa valle, per proteggere gli impollinatori presenti e ricreare una maggiore biodiversità di questo magico luogo.

La Val Concei

La Val Concei è un territorio montano situato nella parte meridionale del Trentino alto Adige, fa parte della Valle di Ledro e più in generale del Territorio Garda Trentino.

Il paesaggio è caratterizzato da una forte presenza di prati in fondovalle e boschi sui pendii montani, raggiungibile tramite una strada che parte da Riva del Garda e che da 60 m vi conduce fino a 1000 m sul livello del mare.  E’ una Valle molto apprezzata dagli amanti della natura, che qui possono trovare un ambiente incontaminato e suggestivo. Il turismo, infatti, rappresenta per la valle la principale risorsa di reddito.

Dal punto di vista delle coltivazioni, possiamo dire che la valle non è stata toccata a livello ambientale e questo è un vantaggio, perché non vengono dispersi pesticidi nell’ambiente. Non ci sono campi coltivati e, pur essendo in Trentino, non ci sono nemmeno aziende che producono frutta come, ad esempio, le mele.

Il paesaggio agricolo della Val Concei è invece un mosaico di aziende, a conduzione familiare, dedicate all’allevamento di mucche e capre. L’intero territorio, pertanto, è destinato esclusivamente a prato o pascolo e ciò lo rende un luogo dall’aspetto molto naturale come in una pubblicità del cioccolato svizzero! Ma non tutto ciò che è oro luccica…

I danni della zootecnia

Tutte le attività umane, se non gestite opportunamente, portano con se un impatto ambientale. Come conseguenza dell’allevamento di bestiame, in Valle di Ledro i prati a fondovalle sono stati compromessi da un eccessivo apporto di nutrimenti, principalmente potassio, fosforo e azoto. I liquami, ovvero letami non maturati tramite un corretto processo chimico-fisico, rilasciati nell’ambiente hanno alterato la composizione floristica dei prati che hanno visto apparire in maniera sempre più preponderante specie invasive alloctone che non c’entrano con la flora locale, ma che vincono la competizione su quella autoctona perché sono più predisposte a questo tipo di terreni troppo fertilizzati.

Questo impoverimento floristico ha creato un effetto a catena: sono cambiati gli insetti che frequentano le piante, gli animali che si nutrono di insetti, le proprietà microbiotiche del suolo e, di conseguenza, l’intera biodiversità è stata intaccata e quindi danneggiata.

Anche il meraviglioso lago di Ledro dava evidenti segnali di sofferenza legati ad un eccesso di fosforo ed altri nutrienti, mostrando una fioritura algale di colore rossastro che creava forte imbarazzo e timore a tutti gli abitanti!

La soluzione: grazie ad un articolato progetto promosso e supportato proprio da Michele in veste di assessore all’ambiente, in cui dal 2015 si è provveduto allo sviluppo di un progetto scientifico che ha permesso il trasferimento fuori Valle della quasi totalità dei liquami zootecnici. questa azione ecologica significativa ed efficace ha spianato il terreno per il miglioramento della biodiversità del territorio.

Nella adiacente valle del Chiese, dove invece c’è forte coltivazione di piante che necessitano di forti apporti nutritivi e in cui manca la zootecnia, gli agricoltori necessitavano di fertilizzante, è stato realizzato quindi, un progetto di trasferimento del liquame, portandolo via da Ledro a dove serve. In questo modo, il liquame non compromette più la valle e gli agricoltori di Val del Chiese, anziché comperare concimi chimici, possono contare su concime naturale a km zero per i loro campi.

Oltre a questo, è stata anche acquistata una macchina che rivolta e matura, asciugandolo, il letame facendolo diventare quasi torba. Il letame così lavorato viene assimilato in maniera più ottimale dagli organismi vegetali e non favorisce la diffusione di infestanti, dato che con la completa maturazione, i semi di piante infestanti eventualmente contenuti nella massa, vengono disattivati e sterilizzati.

La Bio-Oasi in Val Concei di Savingbees

Abbiamo chiesto a Michele Segalla a quali difficoltà vanno incontro gli impollinatori nella sua valle e ci ha spiegato che “Le fioriture, in Val Concei, sono compresse in un arco temporale limitato a causa del clima montano e i pascoli sono sempre più invasi dalla vegetazione arborea, a causa del minore uso che ne viene fatto. Tutto questo rende molto più difficile per l’ape e per gli altri impollinatori fare scorte di cibo per sopravvivere al lungo inverno prealpino”.

Ascoltando le parole di Michele, abbiamo deciso di creare proprio qui la seconda Oasi con la sua collaborazione. Un ettaro di terreno con una decina di famiglie di api e tanta, tanta biodiversità per salvare gli impollinatori e non solo loro.

Le nostre Oasi costituiscono un habitat protetto per numerosi altri animali e noi, in nome della biodiversità, non discriminiamo proprio nessuno, neppure gli orsi. Infatti, “da alcuni anni l’orso ha deciso di ritornare a popolare la Val Concei. Come dargli torto in un posto così bello?! Si sa che l’orso è ghiotto del preziosissimo miele e così, per poter convivere entrambi, le arnie vengono protette da un recinto speciale collegato ad un pannello solare che genera una leggera scossa per dissuadere l’orso dallo scavalcare”. – ci racconta Michele.
Oltre ai fiori destinati alle api e agli altri insetti impollinatori come facelia e coriandolo, nella nuova Oasi sono stati anche piantati chili di semi di miscugli di piante alpine locali. Una parte dell’Oasi pertanto è dedicata agli impollinatori, la seconda invece ha l’obiettivo ecologico di reintegrare nell’ambiente varietà native minacciate. Per questo motivo, possiamo dire che la seconda Oasi Savingbees non è una semplice Oasi Apistica, ma una vera e propria Bio-Oasi-Alpina.

“Peccato solo che non possiamo allegare i mille profumi e la bellissima musica di ronzii che invade dall’alba al tramonto questa isola di vita magica!!” – ci fa notare Michele. È vero, non possiamo farlo ma speriamo di averti comunque regalato un po’ di meraviglia con le immagini di questo luogo incantato. Il resto lo lasciamo alla tua immaginazione!

di Petra Invernizzi, Bee-Copy @Pinvi – Racconti di api

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Investigate Europe per Saving Bees: il video

Siamo orgogliosi come Saving Bees di aver collaborato con Investigate Europe e con Lorenzo Buzzoni, giornalista e videomaker, per parlare di argomenti difficili in modo aperto ed indipendente.

I cambiamenti climatici sono incredibilmente veloci, mentre noi siamo incredibilmente lenti nel fare qualche cosa, e la siccità incredibile che quest’anno ci sta colpendo in tutto il Sud Europa, ma in particolare in Italia ne è l’ennesima dimostrazione. Siccità che ha colpito anche noi azzerando e letteralmente bruciando tutti i fiori che sono resistiti solo fino a metà giugno, lasciando ora spazio solo al colore marrone delle piante che di giorno in giorno si stanno seccando inesorabilmente.

Postiamo qui il video girato da Lorenzo e vi stimoliamo nel seguire lui e tutta la squadra di Investigate Europe!

Leggi l’articolo dedicato a Saving Bees su Investigate Europe a questo link.

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L’importanza del ruolo degli impollinatori in agricoltura

Gli impollinatori sono di vitale importanza non solo per l’ambiente, ma anche per tutti noi. Per la maggior del cibo che consumiamo, infatti, dobbiamo ringraziare queste preziose creature. In particolare, l’80% di quello che mangiamo ogni giorno, senza il loro duro e costante lavoro, non esisterebbe e lo stesso vale anche per molti medicinali che vengono prodotti con principi estratti dalle piante.

Le api sono gli impollinatori più famosi, ma ce ne sono tanti altri altrettanto importanti di cui si parla poco o niente. Farfalle, falene, bombi, coleotteri, ma anche pipistrelli e altri piccoli mammiferi… ciascuna di queste specie contribuisce alla crescita e alla prosperità di interi ecosistemi. Ecosistemi sia naturali, sia gestiti dall’uomo per la coltivazione e, in entrambi i casi, l’impollinazione consente alle piante di continuare a vivere e prosperare.

L’utilità degli impollinatori in agricoltura

L’impollinazione, che consiste nel trasferimento di polline dagli organi maschili a quelli femminili delle piante, è il modo in cui queste si riproducono ed è prerequisito essenziale per lo sviluppo dei frutti e, ovviamente, anche dei semi.

L’impollinazione può avvenire grazie all’azione di insetti o piccoli animali che, mentre si nutrono del nettare dei fiori, trasferiscono il polline da una pianta all’altra, oppure per azione del vento che lo disperde. Le colture di cereali comuni come grano, riso, orzo e avena utilizzano il vento per l’impollinazione mentre la maggior parte delle varietà di colture permanenti, come ad esempio le mele, non può dipendere dal vento per riprodursi con successo e quindi ha bisogno degli impollinatori.

In Europa, delle 264 specie coltivate l’80% dipende dall’attività degli insetti impollinatori (EFSA, 2009). Impollinatori che consentono un incremento del valore monetario annuo mondiale delle produzioni agricole di circa 260 miliardi di euro. Nonostante tutto questo, la maggior parte delle pratiche agricole di oggi, in Italia e nel mondo, ancora – consapevolmente – continua a contribuire alla scomparsa delle popolazioni e specie di impollinatori, sottostimando le conseguenze. 

Il declino degli impollinatori e cosa si può fare

Negli ultimi decenni, il numero di impollinatori è calato drasticamente a causa della perdita di habitat a disposizione di questi animali, dell’esposizione ai pesticidi usati in agricoltura e dei gravi cambiamenti climatici in atto.

Osserviamo infatti un declino dell’abbondanza , della diversità e dello stato di salute degli impollinatori, selvatici e domestici. Importante sottolineare come oltre il 40% delle specie di impollinatori invertebrati rischiano di scomparire. E in Europa quasi la metà delle specie di insetti è in grave declino e un terzo è in pericolo di estinzione, inoltre, il 9% delle specie di apoidei è minacciato di estinzione e il 37% delle popolazioni di api sta diminuendo drasticamente. Il declino della popolazione delle farfalle è arrivato al 31% (IUCN,2015 e Mullin et al. 2010).

L’agricoltura intensiva, infatti, ha modificato la destinazione d’uso dei suoli alterando equilibri creati dalla natura in milioni di anni di evoluzione. Se a questo aggiungiamo il continuo utilizzo di pesticidi (chiamati spesso fitosanitari perché così, anche per la nostra salute, suonano meno nocivi) è facile comprendere perché la sopravvivenza degli impollinatori oggi è seriamente a rischio.

Le soluzioni ci sarebbero ma, come sempre, a differenza della Natura l’uomo pensa al profitto a breve termine senza preoccuparsi delle conseguenze future. Un approccio più sostenibile alle pratiche agricole potrebbe rallentare, se non fermare questo declino. Occorrono politiche pubbliche più incisive per migliorare l’habitat degli impollinatori e, di conseguenza, la produttività agricola.

Ad esempio, incentivando maggiormente l’agricoltura biologica che vieta l’uso di pesticidi ed erbicidi chimici oppure, ancora meglio, l’agricoltura rigenerativa che, ispirata alla permacultura, punta a costruire sistemi agricoli resilienti in grado di ripristinare la biodiversità del paesaggio. 

Sarebbe anche fondamentale introdurre, e forse andrebbe fatto per legge, delle rotazioni con miscugli di piante da fiore, da sovesciare in seguito, che possono essere inseriti nelle rotazioni vere e proprie oppure come seconde colture, al posto di lasciare i terreni incolti tra due colture successive questo creerebbe anche un miglioramento agronomico importante dei terreni. 

Anche iniziative private, come quella di Savingbees, sono utili per rallentare il declino degli impollinatori.

L’oasi Savingbees per sostenere gli impollinatori e migliorare la biodiversità

Le oasi apistiche Savingbees nascono con un obiettivo ambizioso: ripristinare la biodiversità e gli habitat di cui gli impollinatori hanno bisogno e, conseguentemente, invertirne il declino. L’oasi è un luogo selvatico meraviglioso e indisturbato. Un luogo dove questi piccoli animali possono trovare non solo il posto perfetto per nidificare, ma anche una costante fonte di cibo anche quando le colture agricole dominanti della zona non sono in fiore. La massa vegetale che si crea, inoltre, protegge gli insetti anche quando le piante giustamente sfioriscono creando un microclima idoneo a tutti gli animali selvatici. Insomma, un paradiso fiorito dove gli impollinatori (e non solo!) possono convivere sani, felici e in tutta sicurezza.

di Petra Invernizzi, Bee-Copy @Pinvi – Racconti di api

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