Mi piace pensare che dall’ultimo post-glaciale, ovvero dalla fine dell’ultima glaciazione Wurmiana circa 12.000 anni fa, quando i vegetali erano praticamente assenti tranne alcuni insediati sui rilievi tra le maglie della rete di ghiacci, quello che poi è diventato il nostro territorio è stato interessato da successive ondate di colonizzazione da parte di organismi vegetali che, a colpi di competizione, si sono impadroniti delle aree che oggi noi rivendichiamo come “il loro habitat”.

D’altro canto, numerose sono oggi le specie vegetali alloctone che si affacciano alla scena ecosistemica. Molte di queste vengono classificate come invasive/nocive e per questo sono oggetto di sovvenzioni economiche anche europee per progetti di eradicazione, riduzione ed eliminazione.

Negli ultimi tempi mi sono soffermato a considerare un paio di specie erbacee arrivate in Val Concei che sono inserite nella lista nera degli organismi nocivi: Impatiens glandulifera Solidago canadensis.

Si tratta di due piante che hanno riempito l’alveo della maggior parte dei torrenti spesso asciutti del fondovalle praticamente ovunque. Le due specie provengono dagli estremi del globo terrestre. Impatiens dall’Himalaya e Solidago dal Canada.

Naturalmente essendo i vegetali degli – animali che hanno perso l’irascibilità – è chiaro che a fare arrivare fino in questo angolo di mondo queste popolazioni vegetali sono state le attività iper-consumistiche dell’unica specie animale che appartiene al genere Homo. Noi.

La globalizzazione ha permesso ad Impatiens di stabilirsi dalla catena montuosa Himalayana a quella Alpina. Simile situazione per Solidago che dal Canada, con i suoi gialli pennacchi colora laddove Impatiens con il suo colore violaceo acceso lo consente.

Queste due piante mostrano una cospicua fioritura che perdura per tutto l’autunno fino alle porte dell’inverno, fornendo importanti quantità di scorte per gli insetti impollinatori che in questo periodo hanno vitale necessità di riempire le stive di risorse alimentari per attraversare la lunga e rigida stagione avversa. Una manna!

Per un apicoltore di montagna è molto confortante e quasi commovente vedere le api che rientrano all’arnia tutte imbiancate con carichi di polline e nettare in questa delicata e critica fase della stagione.

Mi piace quindi pensare che, al netto delle condivisibili ragioni che hanno fatto inserire queste due specie nella lista delle piante nocive rendendole dei ricercati da eliminare, si può anche provare a cogliere la parte positiva che queste piante portano con se.

Volgendo lo sguardo nel tempo profondo, analizzando anche solo quello che i geologi chiamano “passato recente”, è chiaro che queste dinamiche di colonizzazione sono solamente accelerate dalle attività umane ma di base sono fenomeni naturali che si protraggono da decine di migliaia di anni ovvero dall’inizio dell’attuale interglaciale.

Inoltre, quasi sempre i tentativi di eradicazione che si stanno mettendo in campo costano un sacco di fondi pubblici e sono efficaci come il bimbo che mette il dito nella crepa della diga per fermarne la perdita…

Per fortuna negli ultimi anni la visione del problema sta passando da una prospettiva fiotoxenofoba ad un approccio più ragionevole che vede gli sforzi concentrarsi puntualmente nelle zone più fragili come quelle isole ecologiche dove sono presenti specie endemiche in un delicato equilibrio di ecosistemi.

Non solo le api ma tutti gli impollinatori ringraziano e, dopo gli insetti, gli insettivori come uccelli, piccoli mammiferi e rettili… e via-via le altre maglie della rete alimentare…. Se questa non è biodiversità…!!

Di Michele Segalla