L’aratura è una pratica agricola tanto diffusa quanto dannosa. In questo articolo vogliamo spiegarti quali sono gli effetti negativi che questa tecnica causa alla salute del suolo e ai delicati equilibri naturali, e le possibili soluzioni per limitarne l’impatto ambientale.

Che cos’è l’aratura e perché si pratica

L’aratura è un metodo di lavorazione del terreno che consiste nel rivoltare e rompere il suolo con un aratro, con una zappatrice, o anche con una semplice vanga. Questa metodologia di coltivazione è stata adottata dagli occidentali per secoli, e ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo dell’agricoltura moderna.

L’aratura viene impiegata in agricoltura per diversi scopi, tra cui:

  • preparare il terreno per la semina, creando un letto per la germinazione delle piante;
  • rimuovere le erbacce e i residui delle colture precedenti;
  • incorporare concimi o altre materie organiche nel suolo per aumentarne la fertilità.

Ma è davvero un metodo di coltivazione così efficace?

Perché l’aratura fa male alla terra

Come afferma Masanobu Fukuoka – agricoltore, scrittore e filosofo giapponese noto per aver sviluppato il metodo dell’agricoltura naturale: “Ogni volta che l’umanità interferisce con la Natura (come quando si ara) le cose cominciano ad andare male*”.

Infatti, nonostante sia credenza diffusa che gli effetti dell’aratura sul raccolto siano benefici, questa pratica ha conseguenze negative sulla qualità del suolo, sulle colture e – ovviamente – anche sui prodotti che ne derivano.

L’aratura, infatti, rimuove lo strato superiore del terreno, lasciandolo così esposto agli agenti atmosferici. Questo può portare ad una progressiva erosione del suolo e alla perdita dei nutrienti che vi sono naturalmente presenti, con una conseguente diminuzione della fertilità.

Oltre all’erosione, l’aratura può anche causare la compattazione del suolo, riducendone la porosità. Un terreno compatto limita la giusta penetrazione delle radici delle piante nel terreno e quindi diventa poco adatto ai fini della loro crescita rigogliosa, causando una diminuzione della produttività delle colture.

Non stupisce, inoltre, che le piante nate in un terreno povero, eroso e compatto siano deboli e quindi anche più vulnerabili alle malattie, all’attacco di microorganismi o insetti dannosi, nonché a condizioni ambientali sfavorevoli.

Per ovviare a queste conseguenze, gli agricoltori solitamente rimediano utilizzando costosi e dannosi concimi chimici, pesticidi e diserbanti che impoveriscono ulteriormente il suolo, contribuendo all’inquinamento e alla scomparsa della biodiversità e degli impollinatori.

I danni dell’aratura alla biodiversità e agli insetti impollinatori

Non bastassero le conseguenze sul suolo, l’aratura distrugge anche l’habitat naturale di molte piante e animali, riducendo la varietà di specie che abitano un determinato ambiente, chiamata biodiversità.

Le piante erbacee e i fiori selvatici, infatti, in Natura forniscono cibo e rifugio a tanti animali e la loro scomparsa, o quantomeno drastica riduzione, ha già contribuito ad una significativa perdita della popolazione di molte di queste preziose creature che non riescono più a nutrirsi e riprodursi. Tra questi, anche i preziosi insetti impollinatori – come api, osmie (api solitarie), farfalle e coleotteri – essenziali per la produzione di molte colture.

In aggiunta, in quello che è definitivamente un circolo vizioso, l’aratura incoraggia l’abuso di prodotti chimici causando avvelenamento e morte degli impollinatori esposti a queste sostanze attraverso il contatto diretto o anche indiretto, come ad esempio la contaminazione dell’acqua.

La soluzione? Pratiche agricole più sostenibili e Oasi per la biodiversità

Come abbiamo visto, l’aratura ha diversi effetti impattanti sugli equilibri naturali. Tuttavia, con l’adozione di pratiche agricole più sostenibili è possibile limitarne i danni e preservare l’ecosistema. Come?

Ad esempio, implementando l’agricoltura di conservazione che utilizza la semina diretta o trasemina, la rotazione delle colture e la copertura del suolo (pacciamatura) con residui vegetali o altre colture. Questi metodi di coltivazione aiutano a conservare la struttura del suolo, ridurne l’erosione e tutelare la biodiversità.

Anche l’utilizzo del controllo biologico e integrato dei parassiti per diminuire la dipendenza dai prodotti chimici è una buona pratica, e per quanto riguarda le arature, è possibile ridurne la frequenza e l’intensità.

Ultima, ma non meno importante, è l’urgenza di creare corridoi ecologici e zone di rifugio per mantenere o piantare fasce di vegetazione spontanea, prati fioriti e siepi. Noi chiamiamo questi habitat OASI per la biodiversità. Da diversi anni, infatti, con il progetto SavingBees ci impegniamo ad offrire cibo e riparo agli impollinatori e ad altri utili organismi, facilitando la loro sopravvivenza e il loro importante contributo alla biodiversità e all’agricoltura.

Vasti spazi naturali dove ripristiniamo gli ambienti ideali per questi meravigliosi animali, grazie alla semina di una grande varietà di fiori che producono abbondante nettare e polline. In questi ampi prati selvatici, dove il terreno non viene più arato, gli impollinatori hanno accesso a nutrimento in abbondanza e possono vivere e prosperare in tutta sicurezza.

Articolo di Petra Invernizzi, Bee-Copy @Pinvi – Racconti di api

 (*tratto da “La rivoluzione del filo di paglia” di Masanobu Fukuoka, Libreria Editrice Fiorentina)